lunedì 20 luglio 2020

LE MERAVIGIOSE ORCHIDEE ENDEMICHE DI GRAN CANARIA


Limitate quasi esclusivamente al versante Nord-Nord Ovest per l'influenza degli Alisei, e ad altre poche, favorevoli nicchie, a Gran Canaria attualmente sopravvivono sette specie diverse di orchidee native in piccole aree o in zone scoscese e inaccessibili, come accade per molte altre specie della flora nativa o endemica. Sebbene una pastorizia intensiva riduca il numero e la superficie dei biotipi, e nonostante le aree di distribuzione discontinue, la situazione per questa specie è migliorata grazie alle misure di riforestazione.
Le orchidee appartengono a una famiglia di piante monocotiledoni che si distingue per la complessità dei suoi fiori dalla simmetria prevalentemente monolaterale e la loro interazione con gli agenti impollinatori e i funghi con cui formano micro radici. Nel mondo esistono tra 25 e 30 mila specie naturali e circa 60 mile ibride, oltre alle numerose varietà prodotte dai floricultori.
A Gran Canaria, le orchidee da secoli preferiscono le zone di pastorizia e agricole. Le zone più ricche in specie e numeri sono la regione montagnosa di Tenteniguada e della Vega de San Mateo, il Barranco de la Virgen a Valleseco, i dintorni di Los Tiles a Moya e le pinete de Tamadaba e di Tirma.
Rare nel resto delle Canarie, in quest'isola sopravvivono quelle note come “orchidea dalle tre dita”, “canaria”, “dalle due foglie”, “macchiata” (nella foto in alto), “abejona”, “de gallo menuda” e “di Tenerife”. E solo tre di queste, l'orchidea “dalle tre dita”, la “canaria” e quella “di Tenerife” sono endemiche esclusive delle Canarie, suddivise tra le varie isole.
Le specie native di orchidee riescono a resistere e sopravvivere nonostante anche l'azione  avversa di specie di piante come eucalipti, castagni, olmi, pioppi, ed è uno spettacolo ammirarne le colonie sui pendii scoscesi soprattutto di Gran Canaria.

domenica 19 luglio 2020

SULLE COSTE CANARIE TORNANO LE FOCHE MONACHE


Si narra che l'isolotto di Lobos a Nord Ovest di Fuerteventura debba il suo nome al fatto che un tempo, all'epoca della conquista, ospitava una colonia di foche monache (nella foto un esemplare) che gli spagnoli definirono  “lupi marini”, e da lì derivò il suo nome (“isla de Lobos” significa appunto “isola dei lupi”). A partire dal XV° secolo, i colonizzatori cominciarono a catturarle per poi venderne il grasso e la pelle, tanto che ne decimarono praticamente tutte le colonie. Poi, nel XVII° secolo, la loro cattura smise di essere redditizia perché erano rimasti pochissimi esemplari e non si riusciva più a vendere facilmente ciò che se ne ricavava. Con l'avvento, in tempi recenti, della pesca industriale, e l'uso massivo delle reti da pesca in cui le povere foche monache finivano fatalmente intrappolate, per questa povera specie è arrivata la mazzata finale, con un drastico calo di esemplari nei mari delle Canarie.
Comunque, a partire dalla metà del secolo scorso si sono registrati numerosi casi di osservazioni e, purtroppo, anche di catture a La Palma, Lanzarote e Fuerteventura, con più frequenti osservazioni in queste due ultime forse perché si è trattato di giovani esemplari provenienti in dispersione dall'isola di Madera o dalle acque della Mauritania. Sebbene sembri strano, infatti, esiste una colonia di foche monache in prossimità di Capo Bianco, sulle coste dell'Africa, da dove alcuni esemplari attraversano l'Oceano fino a Madera per poi ridiscendere verso le Canarie.
A partire dal 1995 si cominciò a parlare del progetto di reintroduzione della foca monaca nei mari dell'arcipelago, per molto tempo solo teorizzato senza che si riuscisse mai a realizzarlo. Di recente, il Ministerio de Transición ecologica ha deciso di attuare finalmente il progetto. Dunque è ipotizzabile che presto, qui alle Canarie, si potranno rivedere immagini di foche monache approdate sulle coste incontaminate dell'arcipelago. E questa volta si spera che a nessuno venga in mente di catturarle o ucciderle come si è fatto in un lontano passato.