mercoledì 8 agosto 2012

CARMELO GARCÍA “GANCHO”, PUGILE ALLE OLIMPIADI A ROMA DEL 1960: «I MIEI MUSCOLI? ME LI ERO FATTI ALZANDO CASSE DI BANANE!»

Carmelo Garcia Alfonso, detto Gancho, adesso e quando faceva
il pugile, alla fine degli anni '50.
Carmelo García Alfonso (Guía, Gran Canaria, 1939), conosciuto come García Gancho, è stato uno dei più grandi pugili dell'epoca d'oro della boxe alle Canarie, alla fine degli anni '50. Campione di Spagna per ben dieci volte, partecipò alle Olimpiadi di Roma nel 1960.
Che cosa significò per lei quella lontana partecipazione alle Olimpiadi?
«Senza dubbio fu una delle più gradi gioie sportive della mia vita. Eravamo pugili amatoriali e per noi poter stare lì era un importante riconoscimento al nostro lavoro».
A Roma erano presenti anche i grancanari Cesáreo Barrera e Eusebio Mesa Monsta. Era così grande la superiorità della box canaria? 
«Quando partecipammo al torneo preolimpico di Valencia, la nostra egemonia sugli avversari era tale che ci soprannominarono “le scope canarie”».
Per quale motivo decise di cominciare a boxare?
«Fu grazie a mio fratello, il primo in famiglia a dedicarsi alla boxe. Combatté un paio di volte, però ben presto si accorse che non era esattamente quello che più gli faceva fare. Ciononostante io mi associai al Nuevo Club di Schamann, a Las Palmas de Gran Canaria. E se potessi rinascere, di sicuro farei nuovamente il pugile».
Chi le affibbiò il nome di García Gancho?
«Fu Pascual Calabuig, colui che organizzò gli incontri di Valencia. Lì feci quattro incontri in otto giorni. Il primo combattimento lo vinsi in meno di due minuti, con il mio gran colpo, un gancio appunto. Con il secondo avvenne la stessa cosa. Nel terzo, ancora una volta portai a termine un KO con il mio famoso gancio. Quando tornai a Las Palmas fu lui stesso a chiedermi se quel soprannome mi sarebbe piaciuto. Io gli dissi che sì, mi piaceva, e così “Gancho” mi è rimasto appiccicato per tutta la mia carriera».
Qual fu il momento più emozionante ai giochi olimpici di Roma?
«L'inaugurazione fu un vero sogno per me, un'emozione che non potrò mai dimenticare, così come il momento delle benedizione del Papa in Piazza San Pietro. E ancora pochi giorni fa mi sono emozionato nel vedere in tivù gli atleti sfilare».
Seguì una preparazione speciale per partecipare ai giochi di Roma?
«A dire il vero no. Non ho mai alzato pesi in palestra in vita mia, e i miei muscoli erano frutto del mio lavoro, in particolare alzando pesanti scatoloni, pieni di banane, che uscivano da una macchina impacchettatrice, per metterli sui camion. La mattina lavoravo e nel pomeriggio mi allenavo. Alle nove di sera ero già a letto».
A quelle Olimpiadi partecipò anche il leggendario Classius Clay ovvero Muhammad Alì. Che cosa ricorda di lui?
«Tutti quanti ci accorgemmo subito del suo potenziale. I suoi giochi olimpici furono un autentico spettacolo: tre incontri, tre colpi duri, tre avversari al tappeto».
Alcuni ricordano il suo combattimento contro Kasprzyk. Come fu? 
«Molto duro. La nostra preparazione era abbastanza scarsa. E prima dell'incontro non c'era un'adeguata concentrazione né niente di simile. Il mio avversario poteva vantare più di 200 incontri. Era un amatoriale totalmente professionista. Io, con 28 incontri alle mie spalle, che cosa avrei potuto fare? In questi casi l'esperienza è tutto. Mi atterrò due volte e io mi rialzai, ma alla terza caduta rimasi KO».

(libera traduzione da laprovincia.es)

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