giovedì 18 novembre 2010

SI ACUISCE IL CONFLITTO TRA I POPOLI SAHARAUI E MAROCCHINO


È un conflitto non solo di carattere politico. Una insieme di problemi sociali è alla base del grave attrito tra le due popolazioni: in questo brodo di coltura che si cuoce con sangue e fuoco, si impone infatti anche il desiderio di ottenere un lavoro.
Tutto è cambiato quando il governo del Marocco ha cominciato a mettere i propri coloni nei posti di lavoro che prima erano dei saharaui, ha ristretto le libertà del Paese occupato e ha fatto sprofondare il suo popolo nella miseria. È questo il quadro che emerge dal racconto di un grancanario e due saharaui che sono vissuti nei territori occupati.
«È vero che non c'è sicurezza, educazione o un qualche tipo di libertà, però la sola cosa che la gente di quel Paese chiede è un lavoro che le permetta di guadagnarsi la vita con dignità» dice Laha, un emigrate saharaui che si è trasferito a Gran Canaria.
Non potendolo avere gli abitanti dei territori occupati, all'interno dei quali si trovano le città di Al Aaiun, Dajla e Smara e altre ancora, si vedono obbligati a guadagnarsi la vita come possono o emigrare nelle Canarie o in Europa, da dove possono inviare alle loro famiglie il denaro che guadagnano con un lavoro che è stato negato loro nella propria terra.
Certo, i comportamenti illeciti di certi cittadini saharaui irritano sia i coloni marocchini sia gli imprenditori stranieri. «Tuttavia, che altro possono fare se non rubare, a volte» chiede Laha «quando il governo del Marocco dà tutto il lavoro ai suoi cittadini e ai saharaui non dà niente per permettere loro di sopravvivere?»
Antonio Gonzalez è nato in Tarfaya ed è stato evacuato da lì, assieme alla famiglia, nel 1956, quando la Francia ha concesso al Marocco l'indipendenza e il suo governo ha richiesto i territori di Tarfaya e Tan Tan. Ha vissuto anche l'espulsione del 3 aprile 1976, quando la Spagna ha ceduto al regno alaui e alla Mauritania il potere amministrativo del Sahara occidentale mediante gli accordi di Madrid.
Durante la ventina d'anni di convivenza con i saharaui, Antonio ha potuto constatare che tra marocchini e saharaui non c'erano problemi.
«In quegli anni c'erano molti marocchini che lavoravano a El Aaiun e mai c'erano differenze né difficoltà tra gli uni e gli altri» racconta.
Un educatore sociale che da quattrodini anni lavora a Gran Canaria è della stesso opinione. Secondo lui, il problema nasce ogni volta che il governo del Marocco incita i propri cittadini a esercitare la violenza contro il popolo oppresso.
«Quando prevede una manifestazione, sparge la voce che i saharaui vogliono uccidere i marocchini e allora questi scendono in strada a difendersi» spiega. «Tutte le azioni di disturbo di cui si ha notizia su giornali e in tivù sono istigati dal Marocco».
E ora, dopo l'assalto dell'8 novembre scorso all'accampamento dei rifugiati di Gdeim Izik a opera della polizia marocchina, la situazione è precipitata.
«L'unica soluzione al problema è che il Marocco conceda finalmente l'indipendenza al Sahara Occidentale» conclude l'educatore sociale.
«I conflitti tra le due popolazioni sono cominciati quando i saharaui hanno constatato come il governo del Marocco si è messo a sfruttare le risorse di un Sahara con una grande ricchezza naturale non lasciando niente alla popolazione saharaui» conferma Gonzalez.
«Stanno sfruttando le nostre ricchezze e ci lasciano poveri, danno occupazione ai loro cittadini e non a noi» rincara la dose Laha. «E soprattutto non ci concedono alcuna forma di libertà. Neppure in casa tua ti puoi sentire sicuro, perché entrano con il machete in mano e ti rubano tutto o ti ammazzano senza alcuno scrupolo. Fino a quando potremo tollerare le false promesse del Marocco? Ci promettono una casa, un lavoro, del cibo e non ce li danno mai. Vogliono solo cacciarci dal nostro territorio non dandoci niente per vivere. Il 99 per cento della popolazione vive in condizioni catastrofiche».
Dopo le reticenze della comunità internazionale e, a volte, anche del governo spagnolo, intento a salvare le relazioni diplomatiche con il Marocco già messe in crisi dall'annosa disputa dei territori di Ceuta e Melilla, enclaves spagnole in terra marocchina, si fa sentire sulla questione la ministra degli esteri spagnola Trinidad Jimenez.
La ministra ha annunciato un'inchiesta su quanto è accaduto nell'accampamento dei saharaui di Gdeim Izik, dove la polizia marocchina ha fatto irruzione aggredendo i rifugiati, sul numero dei feriti e dei morti tra le due parti. In particolare, ha affermato, devono essere chiarite le cause della morte del cittadino saharaui di nazionalità spagnola Baby Hamday Buyema, morto dopo essere stato investito da un veicolo della polizia marocchina vicino all'accampamento.
Jimenez ha reiterato «la profonda preoccupazione» per la violenza che si è registrata a El Aaiun lo scorso 8 novembre e nei giorni seguenti.
La ministra degli esteri spagnola è tornata a chiedere alle autorità di Rabat di togliere il veto ai giornalisti spagnoli di lavorare nella capitale amministrativa del Sahara Occidentale perché possano informare il mondo di questa crisi.
Un altro suo messaggio è stato riguardo la necessità di mantenere le buone relazioni con il Marocco e il solido rapporto di collaborazione che la Spagna e l'Europa intrattengono con questo Paese, basato sul «rispetto dei principi democratici, dei diritti umani e delle libertà fondamentali» che anche il Marocco riconosce.
Jimenez ha ricordato anche che la Spagna non ha alcuna responsabilità sul Sahara Occidentale dal 1976, anno in cui abbandonò il territorio. Pertanto, ha aggiunto, si tratta di una questione che compete fondamentalmente la comunità internazionale e in particolare le Nazioni Unite, anche se la Spagna continua a offrire un'attenzione particolare a questo conflitto e, di fatto, è il Paese che maggiormente se ne preoccupa e che più si è dimostrato solidale con l'ex colonia.

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