domenica 15 agosto 2010

DUE SERATE ALL'INSEGNA DELL'EMOZIONE HANNO CHIUSO IL DUNAS FESTIVAL


È ormai alle ultime battute il quinto Dunas Festival di Playa del Ingles (Gran Canaria), meeting socio-culturale gay in lingua francese. Tra affollatissimi pomeriggi chill out che si sono tenuti in alcuni noti complessi di bungalow del luogo e la crociera con il tutto esaurito di sabato mattina, spiccano comunque le due ultime serate letterarie, dedicate rispettivamente alla lettura del racconto di Pierre Salducci (autore e organizzatore del Festival) Christian R. tué par sa mère fatta da un intenso e bravissimo Bruno Bisaro (foto in alto), artista poliedrico di cui ho parlato recentemente, e alla presentazione del libro autobiografico Un homo dans la cité, di Brahim Naït-Balk (anche di lui ho scritto recentemente).
Christian R. tué par sa mère è un racconto che fa parte dell'omonima raccolta di Pierre Salducci ed è l'esposizione in prima persona, da parte del protagonista, della sua conoscenza e frequentazione gay di Christian R., giovane apparentemente ingenuo e ancora inesperto in materia di sesso.
A mano a mano che la storia si dipana attraverso le parole stesse del protagonista, si scopre che invece non è così e che Christian R., vittima dell'educazione spietatamente repressiva della madre, scandalizzata per la scoperta della sua omosessualità, è in realtà alla ricerca spasmodica della libertà interiore e del senso di autonomia, che ricerca in un comportamento sessuale spregiudicato, vissuto tra un'avventura e un'altra, consumate in qualunque posto sia accessibile a un incontro furtivo, umiliante, pericoloso. Si saprà alla fine che Christian R. morirà di Aids, vittima appunto non solo della sua sfrenata voglia di libertà, ma anche dei divieti assurdi e disumani di una madre crudele.
La voce calda e l'interpretazione profonda, emotiva, ma composta di
Bruno Bisarro, hanno commosso il pubblico presente nella sala del Centro Insular di Playa del Ingles e strappato lunghi applausi. Gli stessi rivolti anche a Pierre Salducci (foto a sinistra), che ho apprezzato per la scrittura del testo intelligente, profonda, vibrante, perfetta esteticamente e letterariamente. Un testo incredibilmente teatrale, anche se in origine non concepito come tale.
La sera dopo, è stata la volta, appunto di Brahim Naït-Balk (foto in basso), quarantaseienne franco-marocchino che ha esposto la genesi e il significato del suo Un homo dans la cité - La descente aux enfers puis la libération d'un homosexuel de culture maghrébine (edizioni Calmann-Lévy). Ma a dire il vero più che una presentazione del suo testo, Brahim ha fatto una confessione pubblica sviscerando ogni aspetto più intimo di se stesso e della sua drammatica vita. Dai primi, terribili episodi di discriminazione in quanto di pelle scura al suo senso di isolamento e anormalità in quanto gay, vissuto in completa solitudine durante l'adolescenza (marginalità sommata ad altra marginalità a causa dell'ignoranza e della violenza dell'attuale società), fino ai suoi difficilissimi tentativi di inserirsi nel mondo dello sport calcistico, ma nello stesso tempo difendersi dalle accuse e dal disprezzo di un ambiente, quello degli emigrati maghrebini che abitano nella banlieu parigina e altrove in Francia, che condannano pubblicamente i gay come persone dal comportamento “contro natura” e, poi, in segreto, hanno tranquillamente incontri sessuali gay. Un ambiente con cui ha Brahim ha dovuto combattere e che un tempo lo ha reso vittima. Da giovane, infatti,
ha dovuto subire ripetutamente le violenze sessuali di gruppi di maghrebini, che si sono ritenuti autorizzati così a punirlo, a dargli una lezione, ma che per farlo non solo sono scesi al livello più basso di umanità, ma hanno anche ammesso indirettamente e involontariamente le proprie segrete pulsioni omosessuali, proprio quelle che condannano. Un meccanismo, quello della proiezione, che in psicanalisi è ben noto e riconosciuto alla base di molti comportamenti di tipo persecutorio nei confronti di persone appartenenti alle minoranze.
Poi, finalmente, Brahim ha preso coscienza della sua dignità e del suo diritto a vivere la propria vita alla luce del sole, si è imposto nel mondo sportivo come coach del Paris Football Gay e adesso ha un ruolo di grande responsabilità nell'organizzare attività ed eventi sportivi per persone disabili, un ruolo da “directeur départemental handisports” che lo rende orgoglioso. Inoltre, tiene un programma radiofonico di grande successo sull'omosessualità che lo ha fatto diventare un personaggio molto amato. Nell'ultimo anno, è stato uno dei personaggi più mediatizzati in Francia (con ripetute apparizioni televisive sui canali nazionali francesi, interviste su stampa e alla radio e così via), Paese che da sempre considera il proprio. Seppure di cultura maghrebina, infatti, ritiene certi valori occidentali di libertà irrinunciabili e, a costo anche di gravi pericoli per la sua persona fisica, si adopera per combattere certi pregiudizi che fanno parte della sua cultura originaria (e anche di quella cristiana, per la verità).
Che senso ha, infatti, parlare di omosessualità come comportamento contro natura, se in natura lo si osserva costantemente? Non si tratta forse di un atteggiamento che assume chi ha bisogno di spostare su qualcun altro tabù, ansie, sensi di colpa che gli sono propri e di cui è vittima a sua volta, a opera di un'educazione che ha perso di vista obiettività e senso delle cose così come stanno, sepolti sotto assurdi e disumani giudizi moralistici?
Anche per Brahim, molta emozione tra il pubblico e tante strette di mano sincere, per il suo coraggioso percorso interiore e nell'ambito della società, alla ricerca di una comune liberazione da pregiudizi e disumana crudeltà. Ma anche tanti applausi per il suo romanzo autobiografico, scritto con stile diretto e sintetico, che ci fa piombare in un ambiente sociale anacronistico e spietato.

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