sabato 14 agosto 2010

A LANZAROTE, LA TERRE FERTILE VULCANICA PRODUCE VINI FAMOSI FIN DAL 1700



In questo periodo dell'anno, mentre i turisti sono ansiosi di assaggiare la malvasia in uno dei posti di vendita delle cantine che fanno zampillare dalle loro botti i celebre La Geria, decine di agricoltori chinano ancora le spalle davanti ai vicini pergolati perché possa continuare il miracolo del vino di Lanzarote. Una vecchina, in particolare, china la schiena per posare nel cesto i grappoli d'uva e poi la rialza per raccogliere quelli rimasti sui rami, come se fosse un giunco.
«Ho quasi 85 anni, ma continuo a correre come una ragazzina» scherza Carmen Hernandez, mentre raccoglie gli ultimi grappoli di malvsia che la vigna nasconde ancora. È vestita pesante mentre lavora sotto il sole, come le donne di un tempo, ma le gocce di sudore che le imperlano il viso sono provocate più che altro dal forte calore che avvolge La Geria, il cuore del vino di Lanzarote.
1° settembre 1730: a Lanzarote tutto si oscurò e parve vicino alla fine. La terra si spacciò d'improvviso, come lasciò scritto il parroco di Yaiza, Andrés Lorenzo Curbelo, e per sei lunghi anni non smise di sputare fuco e lava. Le popolazioni fuggirono e i campi di grando e di orzo rimasero sommersi di cenere. Pareva la fine di tutto. Ma per fortuna solo poco tempo dopo le genti di qui poterono scoprire che, proprio da ciò che sembrava una disgrazia orribile, una sciagura immane, sarebbero risorte. Sarebbe bastato rompere quelle scorie giunte in superficie dal ventre della Terra con la forza del piccone e utilizzarle per rendere più fertili i campi (e coltivare in modo egregio le vigne) grazie alla loro capacità di conservare l'umidità. Fu quella l'origine de La Geria.
15 agosto 2010: la rotta del vino che attraversa le coltivazioni de La Geria è diventata una delle attrazioni preferite dai turisti in visita a Lanzarote, che entrano ed escono dalle cantine e scattano foto tra coltivazioni davvero uniche. I vulcani che un tempo terrorizzavano ora danno forma a uno spazio naturale protetto che incanta il visitatore a prima vista.
Una di notte: un gruppo di turisti assaggia alcuni vini all'entrata della cantina El Rubicon. Nel retro della bottega cìè il padrone, Germàn Lopez, che cura la coltivazione delle vigne assieme all'enologo David Pagàn. Germàn difende il prodotto locale.
«Qui l'agricoltura è molto costosa» spiega. «La sfida è fare vini di qualità, anche se a un prezzo un poco più alto perché posssano vivere tutti quanti, sia il venditore sia il coltivatore, altrimenti si è costretti ad abbandonare la vigna».
E se prendono piede la aulaga e il tabodo (due microrganismi che attaccano le vigne), potrebbe esserci un'altra sciagura immane, forse anche definitiva. La voce di Germàn, perciò, è quella di un uomo preoccupato per il futuro di questa attività.
Lo stesso Shakespeare arrivò a citare i vini “canarys” in uno dei suoi testi, Le allegre comari di Windsor. Carlo III era un altro ammiratore dei malvasia canari, la stella viticola lanzaroteña.
Tale fama si è sempre dovuta soprattutto al lavoro che gli agricoltori compiono con grande sacrificio, sotto il sole cocente di queste latitudini e sopra questo suolo infuocato.
(foto da laprovincia.es)

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